Noi di Territori Africa non siamo dottori. Questa premessa è fondamentale e deve essere ben chiara a chi legge questo articolo. Non intendiamo dare certezze su come prevenire o curare il mal di montagna, e dopo averlo letto consigliamo comunque di chiedere informazioni al vostro medico di fiducia. Noi siamo stati in vetta al Kilimanjaro molte volte e quello che scriviamo deriva soltanto dalla nostra pratica.
Questo articolo non è stato scritto per impaurire le persone, nè per scoraggiare chi sogna di salire sulla vetta d’Africa, ma per rendere consapevoli che un trekking sul Kilimanjaro non è uno scherzo e deve essere affrontato con sagacia. Chiunque può arrivare sulla vetta (5895 metri slm), abbiamo visto lassù anche persone anziane o fuori forma, d’altro canto abbiamo visto persone molto atletiche rinunciarvi.
Quando effettuiamo uscite o escursioni in alta quota, capita di aver mal di testa, vertigini, nausea o stanchezza. Questi sono causati nella maggior parte dei casi dalla quota raggiunta (e quindi dalla pressione atmosferica molto più bassa) e dalla minore capacità del nostro corpo di percepire ossigeno nell’aria. Quando i sintomi sopra citati sono sporadici, lievi, non tutti insieme e dopo al massimo qualche ora (1-3 ore) spariscono è la normale routine di acclimatamento. Il corpo si abitua alla quota e all’ossigeno e quindi riprende a funzionare correttamente.
Quando invece i sintomi aumentano significa che il corpo non si sta abituando e che è necessario scendere di quota per permettere un migliore acclimatamento, oppure nei casi più gravi abbandonare l’uscita.
L’acclimatazione è il processo che l’organismo umano mette in moto per adattarsi alla ridotta disponibilità di ossigeno alle alte quote. E’ un processo lento che può impiegare giorni o settimane per svilupparsi completamente. Questo processo è più lento e delicato a seconda della quota da raggiungere. L’altitudine si classifica come segue:
Alta quota: 1500 – 3500 m
Altissima quota: 3500 – 5500 m
Altitudine estrema: oltre i 5500 m
In termini pratici generalmente non si prendono in considerazione altitudini inferiori ai 2500 m. La soglia significativa è quella dei 3000 m, quota alla quale la maggior parte degli escursionisti e alpinisti sono abituati. L’esposizione a quote superiori sulle Alpi si limita a tempi brevi, a volte solo di ore, e scendere a quote più basse nell’arco delle 24h è la norma. Normalmente quando si raggiunge una vetta oltre i 4000 nelle nostre Alpi, per esempio, l’uscita viene divisa in due giorni, per permettere di avere un acclimatamento ideale, oltre alle problematiche legate alle condizioni dei ghiacciai nelle ore centrali della giornata, dello sforzo fisico richiesto e altri fattori che ci influiscono sulla sicurezza. Questo fa si che il pericolo costituito dal mal di montagna sia molto limitato. Tutt’altra cosa avviene nelle spedizioni e nei grandi trekking nel mondo dove la permanenza a quote superiori ai 3500 m si protrae per giorni e a volte per settimane. In questo caso i tempi sono più lunghi e da non sottovalutare.
Alcuni normali e fisiologici cambiamenti avvengono in ogni persona che vada in quota:
- Iperventilazione (respiro più veloce, più profondo o entrambi)
- Respiro “corto” durante lo sforzo
- Cambiamenti nel ritmo respiratorio notturno
- Frequenti sveglie notturne
- Aumento delle urine
Salendo di quota attraverso l’atmosfera la pressione barometrica cala (l’aria però continua a contenere il 21% di ossigeno) con il risultato di rendere più povero di ossigeno ogni respiro. Per compensare si è costretti a respirare più velocemente e più profondamente e con lo sforzo questo si fa più evidente, per esempio camminando in salita. Restare senza fiato è normale fintanto che, con il riposo, si riprende una respirazione normale. L’aumento della frequenza respiratoria è di fondamentale importanza e va assolutamente evitato qualunque fattore che lo deprima (alcol e certi farmaci, p.e. sonniferi). Nonostante questi meccanismi compensativi è comunque impossibile ripristinare i normali livelli di ossigeno nel sangue in alta quota. La frequenza respiratoria accelerata e protratta nel tempo è causa di una riduzione dell’anidride carbonica, il rifiuto metabolico della respirazione che viene espulso dai polmoni. La presenza oltre certi limiti dell’anidride carbonica nel sangue è il segnale al cervello che innesca l’atto respiratorio e se questa è bassa l’automatismo della respirazione non parte (la mancanza di ossigeno è un segnale molto più debole che agisce solo come valvola di sicurezza). Fintanto che si è svegli non è difficile avere una respirazione cosciente, ma di notte si instaura un anomalo ritmo respiratorio dovuto all’alternarsi di questi due segnali contrastanti.
La respirazione periodica consiste in cicli di respirazione normale che gradualmente rallenta fino ad una breve apnea che può durare 10-15 secondi. Può migliorare leggermente con l’acclimatazione ma non scomparirà fino alla discesa a quote “normali”. Questo non è mal di montagna.
L’acetazolamide (Diamox®), di cui vedremo più avanti l’azione, è di grande aiuto nel regolare i meccanismi respiratori. Forti sconvolgimenti avvengono nella chimica del corpo e nel bilancio dei fluidi durante l’acclimatazione. Il centro osmotico che rileva la “concentrazione” del sangue reimposta i suoi parametri con il risultato che il sangue si fa più denso. Da ciò deriva una diuresi da altitudine, con i reni che espellono una maggior quantità di liquidi. Le ragioni di ciò non sono state ancora pienamente comprese ma ne risulta un innalzamento dell’ematocrito (concentrazione dei globuli rossi) e forse una maggiore capacità di trsaporto dell’ossigeno e un’opposizione alla tendenza alla formazione dell’edema.
E’ normale in quota urinare più del normale, se non è così vuol dire che vi state disidratando o che non vi state acclimatando a dovere.
Il Mal di Montagna Acuto è una costellazione di sintomi che vi segnalano che non siete acclimatati all’altitudine in cui vi trovate. Salendo il vostro corpo si adatta al decrescere dell’ossigeno (ipossia) e c’è sempre un’altezza ideale in cui il vostro organismo è in equilibrio, con buona probabilità sarà la quota alla quale avete dormito l’ultima notte. Oltre a questo punto c’è un’indefinita zona di tolleranza in cui il vostro organismo riesce a sopportare livelli di ossigeno più bassi, se ne raggiungete il limite superiore appaiono i sintomi di sofferenza da ipossia, e questo è mal di montagna. Questa zona di tolleranza si muove con voi. Ogni giorno, mano a mano che salite, vi acclimatate ad un’altitudine superiore spostando così verso l’alto anche la vostra zona di tolleranza. Andate oltre il limite per il quale siete “attrezzati” e vi ammalerete.
Il primo sintomo di mal di montagna, quasi onnipresente, è la cefalea e quando uno o pìù dei seguenti sintomi l’accompagna, a seguito di una salita a quote superiori ai 2500 m, va diagnosticato Mal di Montagna Acuto (AMS):
- perdita di appetito, nausea e/o vomito
- fatica e/o debolezza
- giramenti di testa e/o vertigini
- difficoltà nel sonno
Tutti questi sintomi possono variare dal blando al grave e il mal di montagna acuto è stato paragonato ad un brutto post-sbronza e, a parte alcuni criteri di valutazione da addetti ai lavori, ne approfittiamo per introdurre la:
Regola N.1
Se non vi sentite bene in quota, è mal di montagna, a meno che non ci sia un’altra ovvia ed evidente spiegazione (come la diarrea).
Il mal di montagna è un insieme di patologie, dalle forme più lievi a quelle che rappresentano una minaccia fatale. All’estremo più pericoloso si trova l’Edema Cerebrale (HACE), in cui il cervello si gonfia e smette di funzionare a dovere. L’HACE può svilupparsi molto rapidamente ed essere fatale in un arco di tempo che può andare dai due giorni alle poche ore.
Le persone in condizioni di edema cerebrale sono spesso confuse e possono non riconoscere il fatto di essere ammalati
La caratteristica saliente dell’edema cerebrale HACE è il modificarsi della capacità di pensare. Può esserci confusione, cambi di comportamento o letargia, è presente anche una caratteristica perdita di coordinazione chiamata atassia. E’ uno stato molto simile a una fortissima sbronza. Essendo la persona sospetta di HACE difficilmente in grado di percepire da solo il suo stato, è bene sottoporla a un facile test.
Tracciate al suolo una linea diritta e fate camminare la persona lungo di essa in maniera che ponga i piedi uno davanti all’altro sulla linea (come sul filo). Se fa fatica a mantenere la linea, cade o adirittura non sta in piedi senza aiuto si deve presumere sia affetto da Edema Cerebrale da Alta Quota. E’ tempo di farlo scendere senza indugio. A meno di avere con se una sacca iperbarica e/o un medico attrezzato la discesa dovrà avvenire immediatamente (anche di notte) senza aspettare il mattino successivo. Si dovrà scendere possibilmente fino al luogo dove ha dormito due giorni prima, nell’incertezza o nell’impossibilità almeno 500 metri di dislivello, 1000 sono meglio. Le persone colpite da HACE normalmente sopravivvono e guariscono completamente se scendono molto e in fretta. Ricordate che la maggior parte dei casi di edema cerebrale si riscontrano in persone che hanno continuato a salire con sintomi di AMS, da qui la:
Regola N.2
Mai salire se si hanno sintomi di mal di montagna.
Un’altra forma di grave patologia d’alta quota è l’Edema Polmonare (HAPE), o liquidi nei polmoni. Sebbene sia spesso associato al Mal di Montagna Acuto (AMS) non ne è strettamente correlato e i classici sintomi AMS possono essere assenti. Segnali e sintomi dell’Edema Polmonare possono essere rappresentati da qualunque dei seguenti:
- estrema fatica
- difficoltà di respirazione a riposo
- respiro rapido e superficiale
- tosse, anche con secrezioni rosa o schiumose
- respiri gorgoglianti o rumorosi
- petto congestionato
- labbra o unghie blu o grigie
- sonnolenza
L’edema polmonare appare normalmente la seconda notte dopo una salita ed più frequente in persone giovani e allenate. Una discesa immediata è la soluzione. A meno di avere con se una sacca iperbarica e/o un medico attrezzato la discesa dovrà avvenire immediatamente (anche di notte) senza aspettare il mattino successivo. Si dovrà scendere possibilmente fino al luogo dove ha dormito due giorni prima, nell’incertezza o nell’impossibilità almeno 500 metri di dislivello, 1000 sono meglio.
Non sarà mai enfatizzato abbastanza. Se avete sintomi di Mal di Montagna, NON SALITE ULTERIORMENTE. Salire con i sintomi di AMS significa peggiorare e mettere a repentaglio la propria incolumità. La maggior parte dei casi di edema cerebrale sono conseguenza dell’aver violato questa regola. Restate in quota o scendete finché i sintomi non sono completamente scomparsi. Solo allora sarete acclimatati e potrete riprendere la salita. La chiave per evitare il mal di Montagna Acuto è una salita graduale che dia all’organismo il tempo di adattarsi.
Regola N.3
Se i sintomi peggiorano, scendere immediatamente
La persona ammalata deve essere trasportata, lo sforzo di camminare peggiora la situazione e spesso un edema polmonare grave sviluppa anche un edema cerebrale. Una volta scesi una quota sicura, un paio di giorni di riposo dovrebbero essere sufficienti per la ripresa. Se tutti i sintomi sono completamente scomparsi una cauta risalita è accettabile.
L’edema polmonare può esser confuso con altri problemi respiratori:
Tosse da alta quota e bronchite sono entrambe caratterizzate da tosse persistente con o senza presenza di catarro. In stato di riposo il respiro non è difficoltoso né si manifestano segni di spossatezza, se disponibile un saturimetro si vedrà che la saturazione dell’ossigeno sarà normale per quella quota.
Polmonite, può essere difficile distinguerla dall’edema in base alla sintomatologia ma una volta scesi l’edema guarisce e la polmonite no. In ogni modo l’edema in quota è molto più comune della polmonite.
Asma, può anch’essa essere confusa ma fortunatamente gli asmatici sembrano avere una condizione migliore in quota piuttosto che al livello del mare.
I tempi di acclimatazione variano da persona a persona e non è possibile dare regole assolute ma in generale seguire le seguenti raccomandazioni è la maniera migliore di evitare l’insorgere di seri problemi:
- passare una notte almeno sotto i 3000 m
- evitare assolutamente sforzi e affaticamenti nella fase di acclimatazione, anche se vi sentite in forma procedete al 50% delle energie disponibili
- oltre i 3000 metri sarebbe consigliabile non salire di più di 500 m di dislivello al giorno
- ogni 1000 m di dislivello sarebbe consigliabile passare due notti alla stessa quota
l’ideale è dormire più in basso del punto massimo raggiunto durante il giorno. Ciò non è sempre possibile ed il giorno di sosta diventa di fondamentale importanza. Un’eventuale escursione leggera a quote superiori con rientro al punto di partenza nella giornata di “riposo” è una buona tattica.
VA EVITATA qualunque cosa rallenti la respirazione, vari medicinali possono indurre quest’effetto creando problemi. Chi ha sintomi di mal di montagna, ma a nostro avviso anche chi sta bene, deve evitare assolutamente:
- alcool
- sonniferi (il Diamox® è il sonnifero d’elezione in quota)
- antidolorifici se non in dosi minime
L’acetazolamide (Diamox®) è un farmaco che forza i reni a secernere bicarbonato riacidificando il sangue. Vengono così bilanciati gli effetti dell’iperventilazione che si innesca in alta quota nel tentativo di catturare più ossigeno. Questa reacidificazione agisce da stimolante respiratorio, specialmente di notte, riducendo o eliminando quella particolare respirazione periodica di cui abbiamo parlato prima. Pur essendo un valido supporto nella cura del Mal di Montagna Acuto il suo uso di elezione è preventivo in quanto il suo effetto principale è quello di accelerare l’acclimatazione.
Le persone allergiche ai sulfamidici dovrebbero astenersi dall’assumere il Diamox.
Il più comune degli effetti collaterali è una sensazione di formicolio o di vibrazione in mani, piedi e labbra, talvolta variazioni nel senso del gusto. C’è inoltre da aspettarsi un certo effetto diuretico.
La dose di acetazolamide per la profilassi preventiva è 125-250 mg (a seconda del peso corporeo) due volte al giorno iniziando 24 ore prima della salita e finendo due o tre notti dopo il raggiungimento della massima altezza o con la discesa se la quota avviene prima.
Alcuni miti da sfatare circa il Diamox:
-Il Diamox nasconde i sintomi: non è vero, accelera l’acclimatazione e, se questa si instaura i sintomi scompaiono perché non hanno più motivo di esserci. Se avete ancora difficoltà di acclimatazione avrete ancora i sintomi del mal di montagna.
-Il Diamox protegge dal peggiorare dei sintomi durante la salita: il Diamox non annulla il valore della regola n°2 e non offre protezione contro il peggiorare del mal di montagna già in atto.
-Il Diamox previene il mal di montagna durante una salita rapida: pur essendo consigliabile l’uso preventivo del Diamox in caso di una forzata esposizione rapida all’alta quota (per esempio volare su La Paz o Lhasa) non si deve averne cieca fiducia, l’acetazolamide abbassa il rischio, non lo annulla.
-Se si interrompe l’uso del Diamox i sintomi peggiorano: è falso, non c’è effetto “rebound”. Interrompendone l’uso l’acclimatazione rallenta al suo ritmo naturale. Se il mal di montagna è presente i sintomi ci metteranno più tempo a risolversi, se non lo è vuoi dire che siete acclimatati, almeno per quella quota.In pratica, da alcune osservazioni durante le spedizioni, la dose minima, iniziata il giorno prima di superare i 3000 m, si è rivelata efficace. Il Diamox a supporto dì un corretto comportamento nelle fasi di acclimatazione, ha fatto si che non si siano verificati casi di mal di montagna gravi.
Recentemente alcune ricerche sull’estratto di Ginkgo Biloba, pur non avendo ancora chiarito i meccanismi di azione, hanno evidenziato la sua capacità di prevenire o ridurre i sintomi del mal di montagna acuto. Questi studi hanno utilizzato un estratto standard commerciale in dosi di 80-120 mg due volte al giorno a partire da 5 giorni prima di una rapida salita in quota o all’inizio di una salita graduale.