A 2500 metri di altezza circa, nella regione degli Amara, nell’Etiopia centro settentrionale, in un territorio prevalentemente montuoso e a ridosso dei monti Semien, sorge la città santa di Lalibela, seconda per importanza religiosa solo alla città di Axum. A differenza di Axum, però, la popolazione è quasi completamente cristiana ortodossa etiope. L’Etiopia, infatti, fu una delle prime nazioni che adottarono il cristianesimo intorno al IV secolo e le radici storiche di questa confessione si fanno risalire addirittura al tempo degli apostoli stessi.
Lalibela, tuttavia, deve la sua importanza non alla città in sé, quanto alla presenza di una delle meraviglie architettoniche del nostro pianeta: si tratta infatti, del complesso monumentale delle chiese rupestri scavate nella roccia, che sono state dichiarate patrimonio mondiale dell’Unesco.
Le origini delle chiese e la loro costruzione
La storia di queste chiese è particolare in quanto si mescola con la leggenda. Dopo la caduta del potente regno di Aksum, intorno al 960, l’Etiopia sprofondò in un’epoca di decadenza. Questa fase terminò soltanto due secoli più tardi, esattamente nel 1181, con l’ascesa al trono dell’imperatore Gebre Maskal Lalibela. La vita di questo re della dinastia Zagwe si snoda tra il mito e la storia.
Il re nacque a Roha (che solo successivamente cambiò nome in Lalibela in suo onore) nel 1162. Gli fu dato il nome “Lalibela”, che significa “le api riconoscono la sua sovranità” a causa di un episodio particolare: uno sciame di api infatti, si dice che lo avesse circondato alla sua nascita senza causargli alcun danno,e per questo motivo, sua madre, la regina, considerò questo evento come un segno premonitore del suo futuro regno come imperatore di Etiopia. A questo punto la leggenda e le tradizioni divergono su cosa successe realmente: secondo alcune interpretazioni si narra che il fratello maggiore del futuro re, Habrav, ne fu geloso e ordinò di avvelenare il giovane, ormai diventato un rivale. Lalibela sprofondò in un sonno mortale e fu portato da alcuni angeli in cielo, dove osservò delle strane costruzioni. Dio ridiede la vita al giovane principe a patto che questi costruisse nella capitale del regno chiese simili a quelle che aveva intravisto in sogno.
Un’altra versione invece, afferma che il giovane fu costretto all’esilio a causa dell’ostilità del fratello maggiore e dello zio e che fu quasi avvelenato. In considerazione del fatto che Lalibela salì al potere durante la vita del fratello maggiore, è altamente probabile che il potere fu preso con la forza delle armi in una sorta di scontro tra fratelli. Dopo la presa di potere, si narra che Lalibela abbia visto Gerusalemme in una visione e poi abbia tentato di costruire una nuova Gerusalemme in risposta alla cattura di quella originale da parte dei musulmani nel 1187.
Il re fece costruire undici chiese scavate pazientemente nella roccia, collegate tra loro da passaggi segreti e ricavate interamente dalla roccia stessa, senza l’ausilio di murature, né legna né pietra. Queste chiese, chiamate Bete, rappresentano luoghi santi. Sono divise in gruppi e separate tra loro da un canale artificiale, metafora del fiume Giordano.
Alla fine del XV secolo i portoghesi decisero di stabilire in Etiopia una base operativa per i viaggi verso l’India. Nel 1520 Emanuele I di Portogallo inviò una spedizione, di cui ci è arrivata testimonianza grazie a uno dei suoi componenti, padre Francisco Álvares, che si avventurò in quelle terre allora quasi sconosciute. Nel suo libro “Verdadeira informação das terras do Preste João”, Álvares fornì agli occidentali la prima descrizione dettagliata delle chiese di Lalibela, di cui fino ad allora erano arrivate solo vaghe informazioni.
Tra gli altri dettagli, Álvares annotò le dimensioni di tutte le chiese di Lalibela e dichiarò che gli edifici di culto scavati nella pietra erano talmente tanti che era impossibile immaginare l’esistenza di un complesso simile in un’altra parte del mondo. Inoltre, i monaci locali avevano riferito all’uomo che i santuari erano stati scavati nella roccia in soli 24 anni.
Durante il XIX secolo altri esploratori europei visitarono la città sacra di Lalibela e descrissero nuovamente le chiese monolitiche, aggiungendo immagini e piantine dettagliate. Tra questi studiosi si distinsero il tedesco Gerhard Rohlfs e i francesi Raffray e Simon. Tuttavia fu solo nel 1939, in piena dominazione italiana, che l’archeologo, architetto e storico dell’arte Alessandro Monti Della Corte scrisse il primo trattato completo su tutte le chiese di Lalibela. Della Corte le descrisse come”immense, raffinate e architettonicamente uniche”e le definì il più grande tesoro del cristianesimo ortodosso etiope.
Le chiese e la loro struttura
Le chiese non sono state costruite in modo tradizionale, ma piuttosto sono state scavate nella roccia viva di blocchi monolitici. Questi blocchi furono ulteriormente cesellati, formando porte, finestre, colonne, vari piani, tetti ecc. Questa gigantesca opera fu ulteriormente completata con un vasto sistema di canali di scolo, trincee e passaggi cerimoniali, alcuni con aperture per grotte eremitiche e catacombe. Questa opera immane, conosciuta in tutto il mondo, è una parte importante della storia dell’architettura rupestre tanto che il sito è stato riconosciuto come patrimonio dall’Unesco nel 1968 e comprende 11 chiese:
1. La Bete Giyorgis: è sicuramente la più scenografica e la meglio conservata ed è considerata la più bella dai numerosi turisti che ogni anno giungono qui per ammirarla. È in una posizione isolata rispetto ai complessi interconnessi delle altre chiese rupestri e il fatto di essere a sé stante è una caratteristica che la rende unica ed immediatamente riconoscibile. La Chiesa di San Giorgio è stata l’ultima, in ordine cronologico, delle chiese che sono state costruite a Lalibela; la leggenda vuole che, una volta completate le altre chiese, San Giorgio apparve al re Lalibela a cavallo del suo bianco destriero e lo rimproverò di averlo dimenticato e di non aver eretto nessuna chiesa a suo nome. Il re promise quindi di rimediare a tale dimenticanza e fece iniziare i lavori di Bete Giyorgis; sembra che il santo fosse spesso presente durante i lavori di costruzione e le impronte lasciate dagli zoccoli del suo cavallo sono visibili nella roccia madre attorno alla chiesa.
Fiore all’occhiello di Lalibela è sicuramente la chiesa Bete Giyorgis. Questa chiesa dalla pianta cruciforme si sviluppa verso il basso. Gli operai che l’hanno costruita hanno iniziato a scavare dal livello del terreno e sono scesi per circa tredici metri. L’edificio è visibile dall’alto da vari punti di osservazione. In particolare c’è una piccola altura nei pressi del bordo, che dà maggiormente la possibilità di guardare l’edificio nel suo insieme: da qui si può ammirare il paesaggio circostante, la piana in cui è scavato l’edificio e apprezzarne la pianta regolare. Si può poi camminare intorno al bordo dello scavo per osservare perfettamente la profondità dello stesso e le decorazioni lungo tutte le pareti della costruzione.
Si può inoltre scendere al livello della chiesa stessa: tramite una scalinata e uno stretto passaggio si accede allo spiazzo che circonda l’edificio. Se si guarda verso l’alto ci si rende conto della maestosità di Bete Giyorgis, della sua imponenza. La pietra è di colore rosa pallido e la decorazione è semplice: sul soffitto sono scolpite croci concentriche, mentre sui lati si possono notare quattro livelli, delimitati da cornicioni, che girano intorno all’edificio. Lungo le pareti sono state scolpite delle finestre con eleganti decori in bassorilievo. Ogni chiesa ha al suo interno un santuario, sacro ed inaccessibile ai visitatori coperto da pesanti tendaggi: in questa chiesa si trova il Tabot, ovvero una rappresentazione dell’Arca dell’Alleanza. All’esterno, lungo le pareti di roccia che circondano l’edificio, si possono vedere delle nicchie scavate nel muro dove riposano pellegrini giunti a Lalibela da ogni parte dell’Africa e che giurarono di rimanere per l’eternità vicino alla chiesa.
2. La Bete Maskal: scolpita nel muro settentrionale del cortile a Bete Maryam è la piccola semi-cappella di Bete Meskel. Quattro pilastri dividono la galleria in due navate scandite da arcate.
3. La Bete Golgotha Mikael: uno dei luoghi più sacri dell’intero complesso di Lalibela, le chiese gemelle di Bet Golgotha e Bet Mikael presentano gli unici pilastri cruciformi dell’intero complesso: l’ingresso conduce prima alla Bet Mikael e poi alla Bet Golgotha dove l’accesso è vietato alle donne ed è famosa perché conserva la tomba simbolica di Cristo e la presunta tomba di re Lalibela.
4. La Bete Maryam: considerata la più antica di tutte le chiese ed è anche la più venerata dal clero e dai fedeli; è una chiesa di tipo monolitico ed ha una pianta rettangolare di 15 metri per 11 metri ed è alta oltre 10 metri. E’ l’unica chiesa ad avere un porticato ed è l’unica di questo gruppo ad avere due piani; in quello superiore, non aperto al pubblico, sono conservati tesori e reliquie religiose.
5. La Bete Danaghel: conosciuta anche come Casa delle Vergini; venne realizzata in onore delle cinquanta monache e novizie fatte decapitare per ordine dell’imperatore romano Giuliano l’Apostata.
6. La Bete Medhane Alem: più simile a un enorme tempio greco che a una tradizionale chiesa etiope, Bet Medhane Alem è impressionante per le sue dimensioni e maestosità. Considerata la più grande chiesa scavata nella roccia del mondo, misura 33,5 m per 23,5 m ed è alta più di 11,5 m. Alcuni studiosi hanno suggerito che potrebbe essere stata una copia nella roccia della chiesa originale di Santa Maria di Sion ad Aksum. L’edificio è circondato da 34 grandi colonne rettangolari (molte sono repliche degli originali). Si dice che le tre tombe vuote in un angolo siano state preparate simbolicamente per Abramo, Isacco e Giacobbe. La domenica i fedeli vengono sperando di essere benedetti o guariti dalla famosa Croce Lalibela d’oro da 7 kg.
7. La Bete Amanuel: è la chiesa più finemente scolpita di Lalibela. Alcuni studiosi ipotizzano che fosse la cappella privata della famiglia reale. Riproduce perfettamente lo stile degli edifici axumiti, e la caratteristica più sorprendente dell’interno è il doppio fregio axumita in cima alla navata. Sebbene non accessibile, c’è una scala per una galleria superiore. Nell’angolo sud-ovest, un buco nel pavimento conduce a un tunnel sotterraneo (non accessibile ai turisti) che collega la chiesa a Bete Merkorios. Le camere nelle pareti sono le tombe dei pellegrini che hanno chiesto di essere sepolti qui
8. La Bete Queddus Mercoreus: La scoperta di catene alla caviglia tra gli altri oggetti ha portato gli studiosi a credere che potesse essere servita come prigione della città, o casa di giustizia. A causa del crollo di un’ampia sezione, l’interno è una frazione delle sue dimensioni precedenti e le pareti in mattoni sono una sfortunata necessità. Si dice che il tunnel nero di 35 metri che conduce alla chiesa quando si arriva da Bete Gabriel-Rufael rappresenti l’inferno e, secondo la tradizione locale, dovrebbe essere percorso senza luce.
9. La Bete Abba Libanos: scavata in una parete rocciosa, è unica tra le chiese di Lalibela perché è stata ricavata scavando una parete rocciosa verticale della montagna per cui solo la facciata è visibile all’esterno. Curiosamente, sebbene sembri grande dall’esterno, l’interno è in realtà molto piccolo. La leggenda dice che sia stato costruito in una sola notte dalla moglie di Lalibela, con l’ aiuto degli angeli.
10. La Bete Lehem: piccola e di forma rotonda con minuscole feritoie e finestre, è quella che ha maggiormente risentito dell’azione del tempo e degli eventi atmosferici.
11. La Bete Gabriel-Raphael: questa imponente chiesa gemella segna l’ingresso principale al gruppo sud-orientale. A differenza della maggior parte delle chiese di Lalibela, il suo ingresso è in alto e vi si accede da una piccola passerella, attraversando un fossato. Questo, insieme alla sua pianta curiosa e irregolare e all’orientamento non consono, ha portato gli studiosi a suggerire che potrebbe essere stato un palazzo fortificato per i reali axumiti già nel VII secolo. L’ingresso porta in Bete Gabriel e poi, tramite un’altra porta, si accede a Bet Rufael. Sebbene la sezione del tetto crollata di Bete Rufael sia stata ricostruita, le funzioni religiose si svolgono solo a Bet Gabriel.
Le dimensioni delle Chiese non sono regolari: ce ne sono alcune tanto piccole da essere poco più di semplici stanze, all’interno delle quali possono entrare all’incirca una dozzina di persone, mentre altre sono più ampie e spaziose. In entrambi i casi, le decorazioni interne sono mozzafiato: illuminato per lo più solo da candele, o, in alcuni casi, da piccole finestre, l’interno è tappezzato di affreschi risalenti al tempo della costruzione, di bassorilievi, dipinti e statue, mentre il pavimento è ricoperto da tappeti per non far appoggiare i piedi sulla roccia.
Tutte le chiese sono collegate da stretti passaggi che permettono ai monaci e ai preti che vivono lì di spostarsi facilmente. Questi passaggi posso essere alla luce del sole o sotterranei e proprio quelli sotterranei sono una delle caratteristiche del complesso sacro di Lalibela. Si tratta di tunnel completamente bui in cui non è permessa alcuna forma di illuminazione: bisogna appoggiare la mano al muro e andare avanti, fino a che si esce dal tunnel per trovarsi in un posto completamente nuovo, una nuova chiesa in un punto diverso del complesso. Questi tunnel, oltre che per spostarsi, hanno una funzione e un significato sacro: rappresentano il percorso dall’inferno al paradiso, la strada che il fedele deve fare per purificarsi e passare dall’oscurità dell’inferno e del peccato alla luce del paradiso e della salvezza divina.
In conclusione, sicuramente Lalibela è una città che merita di essere visitata per questo patrimonio artistico unico al mondo. Di seguito il link ai nostri viaggi in Etiopia per scoprire la bellezza delle chiese rupestri di Lalibela.